Il lavoro da casa, reso obbligatorio dall’epidemia di Coronavirus degli ultimi mesi, ha sollevato enormi problemi alla sicurezza informatica: tra dipendenti poco informati e cyber-criminali pronti a colpire, vediamo cosa è successo in questo periodo

A causa dell’epidemia di Coronavirus molte aziende sono state costrette, in questi mesi, ad approcciarsi al cosiddetto “smart working” o, più precisamente, hanno dovuto dare la possibilità ai dipendenti di lavorare da casa.

Questo nuovo approccio lavorativo ha inevitabilmente esposto le reti informatiche a nuovi rischi, in parte perché i dipendenti sono stati poco informati circa i comportamenti da tenere quando ci si connette a una rete aziendale da casa, in parte perché i cyber-criminali non si sono di certo lasciati sfuggire l’opportunità di sfruttare questa situazione di vulnerabilità e hanno aumentato esponenzialmente gli attacchi.

Come stato segnalato nel corso del Security Analyst Summit (edizione digitale) dello scorso 8 aprile 2020 infatti, gli hacker si sono concentrati soprattutto nello sfruttamento delle vulnerabilità delle reti domestiche che, in questa particolare situazione, si sono praticamente trasformate in un’estensione di quelle aziendali, diventando potenzialmente degli ottimi punti di accesso.

Le connessioni di casa spesso non hanno i requisiti di sicurezza di quelle delle aziende. Partendo dai semplici modem che sovente sono antiquati, succede di frequente che gli utenti non cambino la password del loro wifi o ne utilizzino una veramente semplice, senza contare anche tutti i dispositivi connessi alla stessa rete che potrebbero non essere aggiornati e che risulterebbero quindi esposti a numerosi rischi.

Anche il fatto che i vari tecnici ed amministratori di sistema non possano interagire fisicamente con le macchine dell’ufficio è causa di problemi: è stato stimato da Microsoft che almeno 126.000 macchine non siano state aggiornate quando è stata rilasciata la patch per correggere la falla SNMB Ghost, lasciando quindi i pc dell’ufficio pericolosamente scoperti.

Un’altra società di sicurezza, Kaspersky, ha segnalato come i collegamenti da remoto siano il bersaglio preferito dei cyber-criminali. I servizi RDP (Remote Desktop Protocol) hanno infatti registrato un’impennata di attacchi brute forcing (che consistono nel provare tutte le combinazioni di lettere, caratteri speciali e numeri, finché non si individua la password dell’utente), poiché risultano i più efficaci quando si tratta di forzare un sistema che si basa su credenziali semplici come nome utente e password.

Per difendersi da questi attacchi gli esperti consigliano l’utilizzo di una VPN (cioè una rete virtuale privata), sottolineando come invece la scelta di modificare la porta utilizzata per RDP sia inutile.
Se da un lato quindi abbiamo reti scoperte e hacker pronti a colpire, dall’altra abbiamo un’utenza che sembra non essere stata veramente informata circa il funzionamento del lavoro da casa e di come gestirlo a livello di sicurezza.

Secondo una recente ricerca realizzata da Kaspersky, “How Covid-19 changed the way people work”, quasi un dipendente su quattro che sta usufruendo del remote working qui in Italia, per l’esattezza il 73%, non ha ricevuto una guida o una formazione specifica sulla sicurezza informatica.

Dallo studio emerge infatti come non sia stato spiegato ad oltre il 73% dei dipendenti come proteggersi da eventuali attacchi di phishing o che non sia stato chiarito loro quali applicazioni usare per videoconferenze e messaggistica.

Ricordiamo che il download accidentale di contenuti malevoli da questo tipo di email può portare all’infezione dei dispositivi e anche alla compromissione dei dati aziendali.

Questo senza contare che c’è stato, in questo periodo, un aumento significativo di campagne malevole a tema Covid-19.

Il Corriere della Sera riporta un articolo molto dettagliato in cui espone quanto rilevato nel rapporto di Leonardo, il colosso pubblico della Difesa, riportiamo qui alcuni esempi di attacchi verificatisi solo negli ultimi due mesi:

  1. RAT (Remote Access TOOL): una campagna mail malevola di phishing, il cui allegato (e veicolatore di infezione) era denominato “CoronaVirusSafetyMeasures_pdf.exe2”. una volta aperto il file questo avviva connessioni con un servizio di file sharing.
  2. Un sito con lo stesso logo di Windows “Wise Cleaner”, creato per distribuire due diversi malware: il trojan Kpot3 e un nuovo ransomware denominato “Coronavirus”, con lo scopo di individuare tutte le password salvate sul dispositivo infettato.
  3. L’infostealer AZORult (un trojan mirato a rubare informazioni e dati dal pc infetto) è stato veicolato sia attraverso siti di false mappe relative alla diffusione del virus sia tramite e-mail di phishing a tema COVID-19.

Le e-mail avevano come target aziende operanti nel settore industriale, finanziario, dei trasporti, farmaceutico e della cosmetica.