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Come fare riunioni a distanza o videochiamate di gruppo

A seguito delle restrizioni messe in atto col diffondersi dell’epidemia di coronavirus molti uffici hanno adottato la modalità di lavoro a distanza (o smart working). Si rendono quindi necessari strumenti che agevolino la comunicazione, permettendo di fare riunioni a distanza o videochiamate di gruppo. Vediamo quali sono le 3 migliori app gratuite (+1) utili allo scopo

A seguito delle restrizioni messe in atto col diffondersi dell’epidemia di coronavirus molti uffici hanno adottato la modalità di lavoro a distanza (o smart working).

Si sono quindi resi necessari strumenti che agevolino la comunicazione tra colleghi, permettendo loro di fare riunioni e meeting a distanza o videochiamate di gruppo, che coinvolgano cioè più persone.

Grazie a pc e smartphone è ormai possibile lavorare a distanza, connettendosi ai pc o ai server aziendali, esistono poi numerose applicazioni utili a fare videoconferenze o riunioni telefoniche con più partecipanti, vediamo quali sono le 3 (+1) migliori, gratuite.

Skype

È sicurante una delle app più conosciute per le videochiamate.

Sia nella versione smartphone che desktop è possibile effettuare videochiamate fino a 50 partecipanti.

L’app è gratuita (esiste anche la versione a pagamento, Skype for Business) ed è consigliata in quanto risulta piuttosto intuitiva, oltre che già molto diffusa.

Oltre alle chiamate (o videochiamate) di gruppo è possibile anche chattare con più persone, così da poter confrontarsi velocemente coi colleghi, in modo istantaneo.

La pecca di questa applicazione è che necessita di un’ottima connessione, poiché spesso non garantisce prestazioni elevate.

Per fare videoconferenze su Skype:

  • Assicurati di essere connesso a Internet (e che la tua connessione abbia una buona potenza)
  • Accedi a Skype col tuo account
  • Cerca e aggiungi i tuoi contatti cliccando su Contatti –> nuovo contatto -> digitando la mail o il nome Skype della persona che stai cercando
  • Una volta aggiunti tutti gli utenti clicca su uno e, in alto a destra, troverai l’icona dell’omino con il +
  • Cliccaci e aggiungi tutti i partecipanti dalla lista a tendina che si apre
  • Una volta creato il gruppo clicca sull’icone del telefono (o della videocamera per una videocall) in alto a destra

La chiamata verrà inoltrata a tutti i partecipanti della chat.

Chi usa Skype per lavoro può attivare la condivisione dello schermo e registrare le conversazioni (per poi magari passarle a colleghi non presenti in quel momenti).

Un plus importante è l’opzione sottotitoli che riporta in tempo reale sullo schermo la trascrizione delle parole dette durante la chiamata.

Consigliamo sempre di usare le cuffie con un microfono per evitare difficoltà nella comunicazione.

Whatsapp

Whatsapp, in quanto a diffusione è sicuramente la migliore e anche la qualità della chiamata è molto buona. La pecca? Possono connettersi solo 4 utenti per volta e ovviamente non ci sono le funzioni più utili per il lavoro, come la condivisione dello schermo.

Ottima quindi per riunione di piccoli reparti.

Per fare videochiamate di gruppo:

  • create un gruppo con tutti i partecipanti
  • schiacciate l’icona del telefono in alto a destra e selezionate i contatti del gruppo da chiamare

Hangouts

Hangouts è la chat integrata nelle caselle di Google, Gmail, e nel Google Calendar (è possibile infatti creare un evento e scegliere l’opzione “aggiungi conferenza” per mandare a tutti gli invitati un link diretto alla chat) e per questo motivo è molto diffusa, anche se in tanti non sanno di averla.

L’app può essere usata sia dagli account aziendali G Suite ma anche dai singoli utenti, può inoltre essere invitato a partecipare anche che non ha una mail gmail.

Hangouts si può scaricare come app per dispositivi Android e iOS, come estensione per Google Chrome o si può usare anche semplicemente da browser: andando sulla vostra mail Gmail, sulla sinistra, sotto al menu, troverete il link per iniziare una nuova chat.

Usare l’applicazione da desktop ha sicuramente i suoi vantaggi, come le funzioni di condivisione di schermo e l’uso della chat durante le videochiamate, che sono attive solo per gli utenti che usano un computer.

Hangouts permette videochiamate fino a 25 partecipanti nella sua versione “users”, la versione “aziendale”, Hangouts Meet, è più performante, in quanto pensata appositamente per le riunioni.

Per utilizzare Meet è necessario avere un abbonamento a G Suite. In occasione dell’epidemia di coronavirus che ha reso necessario il telelavoro per molti uffici, Google ha reso disponibili, gratuitamente fino al 1 luglio, alcune delle funzioni che solitamente sono permesse solo agli abbonati di G Suite Enterprise e G Suite Enterprise for Education. Si potranno fare riunioni allargate fino a 250 persone, live streaming per 100mila spettatori (ma solo interni all’organizzazione), registrare le riunioni e salvare i video su Google Drive.

L’ultima soluzione che vi consigliamo è Houseparty.

Questa app è sicuramente diversa dalle altre ed adatta a un target più giovane e meno serioso.

È possibile creare call di gruppo fino a 8 persone, permettendo di conversare ma anche di interagire attraverso mini giochi.

È però importante impostare la privacy per evitare che estranei si aggiungano alla conversazione.

Quelle riportate qui sono solo alcune delle soluzioni che si possono adottare per lavorare coi colleghi a distanza ma ne esistono diverse.

Quando si sceglie un programma di questo tipo è anche utile decidere prima che tipo di dispositivo vogliamo usare per connetterci (se il pc o lo smartphone), perché magari non vogliamo condividere il nostro numero di telefono, cosa che si rende necessaria invece via Whatsapp, ad esempio.
Ognuna di queste soluzioni vi permetterà di comunicare in maniera comoda e veloce con tutti i vostri colleghi e amici, così da rendere lo smart working (o la quarantena) meno solitario.

8 marzo Festa della Donna: vi raccontiamo la storia di Grace Murray Hopper, una delle grandi donne dell’informatica

In questo 8 marzo, Festa della Donna, vi raccontiamo la storia di una delle grandi donne dell’informatica: Grace Murray Hopper, inventrice del COBOL e del termine BUG.

In questo 8 marzo, Festa della Donna, vi raccontiamo la storia di una delle grandi donne dell’informatica: Grace Murray Hopper.

Grace nacque a New York il 9 dicembre 1906 ed era la maggiore di tre figli di una famiglia di origini scozzesi e olandesi.

Da sempre molto curiosa, finito il liceo face domanda al Vassar College, che la respinse in quanto i suoi voti in latino erano troppo bassi. Ci riprovò l’anno seguente e venne ammessa.

Dopo il college continuò a studiare a Yale, dove ottenne il Ph.D in matematica nel 1934.

Nel 1930 sposò Vincent Foster Hopper, professore alla New York University. Divorziarono dopo quindici anni; Grace non si risposò, ma mantenne il cognome del marito.

Il divorzio, così come la pratica di sport come l’hockey su prato e il basket facevano di lei una donna decisamente lontana dagli stereotipi femminili di quegli anni.

Insegnò per alcuni anni presso il suo vecchio college, prima di arruolarsi volontaria nella Riserva della Marina nel 1943, in pieno conflitto mondiale. Passò i test con punteggi altissimi ed entrò nel team di sviluppo del “Mark I” uno dei primi calcolatori elettromeccanici della storia. Qui lavorò a un programma di decriptazione di codici.

Il vero contributo di Grace Murray Hopper all’informatica però arriva dopo la guerra, nel 1949, quando iniziò a lavorare per la Eckert-Mauchly Computer Corporation nell’ambito del progetto di sviluppo dell’Univac 1, il primo computer commerciale prodotto negli USA.

É proprio lavorando a questo progetto che Grace sviluppa FLOW-MATIC, il primo compilatore (programma informatico che traduce una serie di istruzioni scritte in uno specifico linguaggio di programmazione in un linguaggio più comprensibile) della storia.

Il codice sorgente infatti è composto da simboli matematici e numeri, il programma della Hopper permetteva alle macchine di riconoscere istruzioni immesse in un linguaggio più simile a quello naturale e quindi più semplice da utilizzare.

Il FLOW-MATIC sarà la base di un’altra grande invenzione di Grace Murray Hopper: il COBOL (acronimo di COmmon Business-Oriented Language, ossia, letteralmente, "linguaggio comune orientato alle applicazioni commerciali").

Ancora oggi il COBOL (nelle sue versioni più moderne) è utilizzato in ambito bancario e finanziario. È infatti il linguaggio che sta alla base del funzionamento dei nostri bancomat.

Oltre a tutte queste invenzioni, la Hopper è stata la ad utilizzare il termine “bug” (baco) in informatica, termine diventato oggi molto comune.

Stando ai suoi racconti, nel 1947 stava cercando di capire come mai un computer non funzionasse. Al suo interno ci trovò una falena. Conservò l’insetto nel suo giornale di bordo con scritto accanto “First actual case of bug being found” (“Primo caso di baco scoperto”).

primo bug

Il termine bug oggi si utilizza quotidianamente in informatica per indicare un difetto di funzionamento.

All' “invenzione” del bug, seguì quella del debugging, il metodo di eliminazione dei bug informatici attraverso analisi periodiche e continue del codice sorgente del programma.

Grace Murray Hopper lavorò a diversi progetti fino al 1986 quando, a 79 annim decide di andare in pensione con il grado di Commodoro delle Marina.

Muore ad Arlington il 1 gennaio 1992.

Come creare un PDF accessibile

Una delle regole che normano i contenuti dei siti web delle Pubbliche Amministrazioni è quella di caricare esclusivamente documenti accessibili. Il formato digitale più idoneo a soddisfare questa esigenza è sicuramente il PDF accessibile, vediamo come crearlo

Una delle regole che normano i contenuti dei siti web delle Pubbliche Amministrazioni è quella di caricare esclusivamente documenti accessibili. Il formato digitale più idoneo a soddisfare questa esigenza è sicuramente il PDF accessibile.

Un modo sicuro per creare un PDF accessibile è quello di realizzare un documento originario accessibile e convertirlo successivamente in un documento PDF.

Non sono quindi accessibili i PDF derivanti da scansioni di documenti cartacei con scanner, che andrebbero a creare PDF/immagini, non leggibili dai lettori vocali.

La Circolare AgID n. 3/2017 raccomanda infatti che i siti web delle Pubbliche Amministrazioni promuovano l’accessibilità, così da consentire a tutti gli utenti di accedere alle informazioni, anche a quelli utenti che si trovano in condizioni sfavorevoli, come coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari.

Creare un PDF con programmi come Word 2010 è piuttosto semplice: una volta impostato il documento:

  • cliccare su “File”;
  • cliccare sulla voce “Salva con nome”;
  • selezionare il formato “PDF” nel menu a tendina;
  • cliccare sul bottone “Opzioni”;
  • selezionare “Crea segnalibri, utilizzando: intestazioni” e “Tag per la struttura del documento per l’accessibilità”;
  • cliccare sul pulsante “OK”;
  • cliccare su “Salva”.

Non è però sufficiente impostare il formato corretto per avere un file che rispetti quanto richiesto da AGiD, ci sono infatti altri parametri da tenere in considerazione, più precisamente:

  1. La struttura dei contenuti
  2. Le proprietà del documento
  3. Gli stili e la formattazione
  4. Il sommario automatico
  5. Eventuali collegamenti ipertestuali
  6. I colori
  7. Le tabelle
  8. Le immagini
  9. I caratteri

N° 1 – la struttura dei contenuti

I file devono essere correttamente strutturati, in modo che sia chiaro per chi li legge quali siano le parti che dividono il testo e in che modo.

Dovrà quindi essere presente un titolo e, se il documento lo prevede, esso dovrà essere suddiviso in capitoli.

È buona norma utilizzare periodi brevi e un linguaggio semplice, non inserire grafici o tabelle complesse e non ripete più volte lo stesso concetto, così da evitare al lettore confronti finalizzati a cogliere eventuali differenze di contenuto.

N° 2- proprietà del documento

Al fine di strutturare correttamente un documento, impostare le proprietà (come titolo, autore, lingua, ecc..).

Per farlo:

  1. Cliccare su file;
  2. "Informazioni" per visualizzare e inserire le proprietà del documento: in centro pagina, cliccando sul menu a tendina “Proprietà”, si potrà accedere a “proprietà avanzate”, che consente di inserire Autore, Titolo, Oggetto, Parole chiave, ecc.;
  3. tornare indietro su “File” e fare clic su “verifica documento”;
  4. fare clic su “controlla documento”;
  5. fare clic su “controlla” e verificare le informazioni risultanti.

N° 3- Stili e formattazione

Usando gli stili di formattazione che consentono di dividere il testo in capitoli, paragrafi, elenchi puntati e titoli, risulterà più semplice convertire il file in un pdf accessibile.

In alto, nella barra multifunzione della home è possibile impostare i vari stili di intestazione.

Gli allineamenti dei vari contenuti non vanno impostati con la barra spaziatrice ma è bene usare la tabulazione.

Bisogna inoltre evitare il testo giustificato, in quanto potrebbe pregiudicare la lettura a schermo e l’immediato riconoscimento della posizione dei capoversi e posizionare gli oggetti (foto, forme, grafici, ecc.) con una disposizione “in linea” con il testo.

N° 4- Sommario automatico

Per inserire il sommario automatico cliccare su riferimenti -> sommario -> tipo di sommario predefinito.

Questo andrà ad aggiornarsi inserendo nuovi capitoli.

N° 5- Collegamenti ipertestuali

Per inserire eventuali collegamenti ipertestuali: sottolineare il testo da far diventare un link ->cliccare su inserisci -> collegamento ipertestuale e immettere l’url di destinazione nell’apposito spazio.

Cliccando sulla voce “Descrizione”, posizionata sulla destra, è possibile inserire la descrizione al collegamento ipertestuale.

È buona norma non inserire testi poco significativi come link (come ad esempio “clicca qui”), ma descrivere sempre dove rimanderà il click.

Nei documenti digitali, così come nelle pagine web, è bene non sottolineare mai il testo, in quanto potrebbe creare confusione con i link presenti.

N° 6- Colori

Il colore è uno dei punti principali quando si parla di accessibilità, nei siti come nei documenti.

Il rapporto di contrasto tra il testo e il suo sfondo deve esser e di 4,5:1 (quindi evitare testi molti chiari, come azzurrino o grigio su fondo bianco).

Il colore inoltre non deve essere l’unico segno distintivo di un testo: se dobbiamo evidenziare un passaggio o una parola non facciamola rossa, piuttosto usiamo il grassetto.

N° 7- Tabelle

Qualora fosse necessario inserire tabelle è bene utilizzare i seguenti accorgimenti:

  • scegliere una struttura semplice della tabella e non una struttura a doppia entrata o a tabelle annidate, per facilitare la lettura da parte delle tecnologie assistive, in particolare degli screen reader
  • inserire le intestazioni di colonna alla tabella selezionando la riga: cliccare poi con il tasto destro sulla riga selezionata e scegliere la voce “Proprietà Tabella”, selezionare la scheda “Riga” e cliccare sulla casella di controllo “Ripeti come riga di intestazione in ogni pagina” (questo è particolarmente utile se una tabella va su più pagine)
  • inserire un testo alternativo e una descrizione della tabella, cliccando con il tasto destro sulla tabella -> “Proprietà Tabella” -> “Testo Alternativo” e inserire il titolo e una descrizione della tabella
  • evitare celle vuote (eventualmente inserire la dicitura “dato non disponibile”).

N° 8- Immagini

Le immagini ovviamente non possono essere utili agli utenti con difficoltà visive. Pertanto è bene che non siano fondamentali per la comprensione di un testo e che vengano sempre accompagnate da un testo alternativo.

Per inserire il testo alternativo cliccare col tasto destro del mouse sull’immagine -> formato immagine -> quarta icona -> testo alternativo.

È comunque buona norma inserire una descrizione del contenuto sotto l’immagine.

Quando l’immagine è solo di contono può anche essere ignorata.

N° 9- Caratteri

Per una maggiore leggibilità bene usare i font “sans serif” (senza grazie), come il Verdena o l’Arial e con una dimensione che non superi la grandezza 12. L’interlinea deve essere minimo 1.2.

Per le Pubbliche Amministrazioni, come abbiamo visto, l’utilizzo di documenti accessibili è normato e obbligatorio, per tutti gli altri sarebbe solo un educato accorgimento da tenere in considerazione.

 

 

 

 

Cos’è e a cosa serve il certificato SSL

La scorsa settimana vi avevamo parlato dei certificati SSL a lunga durata che verranno prossimamente bloccati da Apple. Ma cos’è un certificato SSL? E a cosa serve? Vediamolo

La scorsa settimana vi avevamo parlato dei certificati SSL a lunga durata che verranno prossimamente bloccati da Apple.

Ma cos’è un certificato SSL? E a cosa serve?

SSL è l’acronimo di “Secure Sockets Layer” ed è un protocollo concepito per consentire ad applicazioni web (come i siti internet) di trasmettere informazioni tra broswer e server in modo sicuro e protetto, garantendo quindi una maggiore protezione dei dati.

Quando ci connettiamo ad un sito internet attraverso un broswer (come Google Chrome o Safari) ed interagiamo con questo sito, ad esempio per fare degli acquisti online, inseriamo alcuni dati come nome, cognome e email ma anche quelli relativi alla carta di credito per il pagamento.

Se non ci fosse il certificato SSL installato sul sito sarebbe facile per alcuni malintenzionati rubare queste informazioni, poiché il broswer le passerebbe al server “in chiaro”, un po’ come se inviasse una lettera senza la busta: chiunque ci entrasse in contatto potrebbe leggerla.

Se invece sul sito è installato il certificato SSL i dati che il broswer e il server si comunicano vengono criptati e diventa quindi molto più difficile comprenderli.

Cosa succede quindi, tra server e broswer, quando viene installato un protocollo SSL?

Quando il browser tenta di connettersi a un sito Web protetto con SSL fa una richiesta di identificazione al server.

Il server risponde inviando al browser una copia del suo certificato SSL.

Il browser verifica l’affidabilità del certificato SSL e, in caso lo ritenga sicuro, invia un messaggio positivo al server.

Il server restituisce un riconoscimento con firma digitale per avviare una sessione crittografata SSL (passa cioè una chiave, che servirà al destinatario per decrittografare i dati che vengono inviati).

I dati crittografati vengono così condivisi tra il browser e il server in modo sicuro.

Questi scambi sono ovviamente velocissimi, invisibili agli occhi degli utenti.

Ogni qualvolta che volessimo inserire dei dati in un sito web quindi sarebbe opportuno che ci accertassimo che questo abbia installato correttamente l’SSL.

Come faccio a verificare che su un sito sia installato il certificato SSL?

È molto semplice: innanzitutto quando i siti non hanno il protocollo installato è il broswer stesso a segnalare la connessione come “non sicura”.

La presenza o meno di un certificato SSL valido per un sito web è distinguibile comunque dall’indirizzo sulla barra di navigazione, dove potrai vedere un lucchetto verde e l’url, anziché iniziare per http, comincerà per https.

La S di differenza tra http (HyperText Transfer) e https sta proprio a indicare una connessione sicura (HyperText Transfer Protocol Secure).

Quanti tipi di certificati ssl esistono?

Esistono diversi tipi di certificati SSL. Ciò che li differenzia è la diversa procedura di validazione che l’Autorità di Certificazione (CA) mette in atto per rilasciarli.

I certificati SSL DV (Domain Validated) sono rilasciati dopo una verifica da parte del certificatore che si basa su:

  • nome del dominio;
  • proprietario del dominio;
  • dati inseriti nel modulo di richiesta.

Questo controllo viene solitamente effettuato via mail.

I certificati SSL OV (Organization Validated) sono destinati ad aziende e prevendono una procedura di rilascio più lunga in cui l’Autorità di Certificazione dovrà accertarsi della reale esistenza e affidabilità della compagnia.
I certificati SSL EV (Extended Validated) sono rilasciati ad aziende (di solito molto grandi) e garantisce maggiore protezione all’ambiente web. I siti che hanno questo certificato si riconoscono poiché l’url è verde.

Quanto dura un certificato SSL?

Il Certificato SSL dura 1 anno a partire dalla data della sua emissione e la sua validità è quindi indipendente da quella del dominio.

Come abbiamo ricordato in un altro articolo è possibile allungare la validità dei certificati, così da non doversi preoccupare ogni anno del rinnovo tuttavia, per garantire maggiore sicurezza agli utenti, broswer come Safari inizieranno a segnalare come non sicuri anche quei certificati che non verranno aggiornati almeno ogni 13 mesi.

 

La novità sulla sicurezza di Apple: dal 1 settembre tutti i siti con certifico SSL di lunga durata saranno bloccati

Apple lancia la sua novità in fatto di sicurezza: dal 1 settembre 2020, per garantire maggiore protezione agli utenti, Safari bloccherà tutti i siti che hanno installato un certificato SSL di lunga durata

Apple lancia la sua novità in fatto di sicurezza: dal 1 settembre 2020 Safari bloccherà tutti i siti che hanno installato un certificato SSL di lunga durata, cioè con una validità di più di 13 mesi (esattamente 398 giorni) dalla creazione.

Questo significa che quando si cercherà di connettersi a un sito con un certificato SSL/TLS di lunga durata, il broswer di Apple mostrerà un errore di privacy, esattamente come succede coi siti senza certificato.

Questa disposizione è stata comunicata durante una riunione del Forum del Browser Authority di certificazione (CA / Browser) mercoledì scorso.

Tale politica, che viene applicata appunto al broswer Safari, interesserà tutti i dispositivi iOS e macOS. Gli amministratori dei siti dovranno quindi correre ai ripari e applicare i nuovi certificati entro l’autunno, per evitare un danno di immagine ma anche un’esposizione a rischi da parte degli utenti.

La riduzione della durata dei certificati è già in discussione da mesi tra i grandi del web (Apple, Google e altri membri di CA / Browser - il forum browser dell'autorità di certificazione-) ed è finalmente stata ufficialmente annunciata. La politica ha i suoi vantaggi e svantaggi.

L'obiettivo di questa scelta è quello di migliorare la sicurezza dei siti web, assicurandosi che gli sviluppatori utilizzino certificati con gli ultimi standard crittografici, così da ridurre il numero di SSL obsoleti, trascurati, che potrebbero essere potenzialmente rubati e riutilizzati per attacchi di phishing e drive-by malware.

Ovviamente il rovescio della medaglia è che l’aumento della frequenza con cui vengono cambiati i certificati, aumenta il lavoro di mantenimento da parte dei gestori dei siti web, che dovranno procedere con l’acquisto, il rinnovo e l’installazione del certificato, ogni 13 mesi.

Prima del 2017 infatti i certificati HTTPS avevano una validità di oltre 5 anni, ridotta poi a 825 giorni. Questa nuova riduzione da parte di Safari è un importante atto di riguardo verso gli internauti, volto a garantire una crittografia adeguata ai nuovi standard di sicurezza.

È morto Larry Tesler, l’inventore del “copia e incolla”

Lunedì 17 febbraio 2020 è morto, a 74 anni, Larry Tesler, informatico e matematico americano, famoso per aver inventato la funzione del “copia e incolla”

È morto lunedì 17 febbraio 2020 l’informatico e matematico statunitense Larry Tesler, famoso nel monto IT per aver inventato l’indispensabile funzione del “copia e incolla”.

Tesler, nato a New York nel 1945, frequentò la Standford University dove iniziò ad avvicinarsi al mondo dell’informatica, quando questo era ancora un campo sconosciuto ai più.

Dopo aver lavorato per qualche anno come sviluppatore si trasferì a Palo Alto, in California, dove trovò un impiego presso il centro di ricerca Xerox PARC (Palo Alto Research Center). Fu qui che, in un’epoca in cui i computer erano macchine enormi utilizzate da pochissimi esperti, Tesler entrò nel team di lavoro dello Xerox Alto, uno dei primi computer “monoutente” (le attuali workstation).

Tesler lavorava, col collega Timothy Mott, allo sviluppo del progetto Gypsy, un programma di video scrittura che si basava sull’uso di un puntatore che veniva mosso da un mouse (vi ricorda qualcosa?). All’epoca i pc mostravano all’utente schermate nere con scritte verdi (o interfacce bianche con scritte nere), non c’erano icone o grafiche che li aiutassero a interagire con l’interfaccia, e tutti i programmi venivano gestiti tramite comandi testuali che spesso dovevano essere ripetuti, magari più volte, in ambito di sviluppo.

Fu proprio per cercare di semplificare questo tipo di lavoro che a Mott e Tesler venne in mente un modo di semplificare l’operazione di copiare una parte di testo e “incollarla” in un altro posto. Fu Tesler a proporre che parole “copia” e “taglia” per copiare un testo (o rimuoverlo tenendolo salvato per copiarlo) e “incolla” per il passaggio successivo, nel quale il testo viene riprodotto altrove.

Era il 1973 quando questo progetto fu sviluppato e venne poi rilasciato ufficialmente nei programmi di scrittura del PARC l’anno successivo, senza che gli ideatori avessero veramente idea della potenzialità della loro invenzione.

Durante la sua vita Tesler collaborò con altre grandi aziende del mondo informatico come Apple, Yahoo! E Amazon.

Lavorò sempre con molta attenzione all’usabilità delle interfacce web e fu un grande sostenitore della tecnologia “modeless”, cioè di interfacce che non prevedessero l’utilizzo di finestre che si aprono mentre si utilizza un programma e che richiedono per forza un’azione prima di poter tornare alla finestra precedente dove si stava lavorando.

Tesler fu anche uno dei primi a utilizzare l’espressione WYSIWIG (“What You See Is What You Get”), acronimo che indica che quello che vediamo sullo schermo deve corrispondere a ciò che viene stampato.

Coronavirus

La recente epidemia di Coronavirus, in concomitanza col Capodanno Cinese, ha provocato una serie di ritardi alle consegne degli acquisti effettuali online

La recente epidemia di Coronavirus, oltre ad essere una tragedia affermata a livello umano, sta causando non pochi disagi anche all’economia, cinese e non. Le fabbriche cinesi si trovano infatti al centro della produzione mondiale, sia di pezzi finiti, sia dei soli componenti. La quarantena indetta dal governo nella regione di Whuan sta però rallentando moltissimo la produzione. In aggiunta a ciò il 25 gennaio è iniziato il Capodanno Cinese, inserendo quindi dei giorni festivi a prolungamento della quarantena.

In Cina il capodanno lunare è una delle festività più importanti: tradizionalmente scuole e fabbriche chiudono per un periodo di 7 giorni e, in questo lasso di tempo, le attività dei principali store online (come AliExpress ad esempio) e dei principali vettori di trasporto vengono limitate al minimo.

Quest’anno quindi le esportazioni dei prodotti venduti tramite e-commerce sarebbero dovute riprendere il 2 febbraio ma, vista appunto l’epidemia dilagante, il governo ha deciso di estendere il blocco fino al 10 febbraio, causando quindi ulteriori ritardi agli acquirenti degli altri Paesi.

In particolare il mercato che ne sta risentendo più di tutti è quello dell’informatica.

La Cina è famosa per produrre molti dei componenti tecnologici per le più famose case di produzione (Apple, Huawei – che ha la sede proprio in Cina-, HP, Dell, ecc), questi blocchi dovuti a cause di forza maggiore hanno quindi ritardato ogni tipo di consegna, sia che si tratti dell’acquisto online di un privato, sia che si tratti di aziende che si appoggiano a rivenditori esterni che non dispongono di un magazzino iper - fornito.

Qualche settimana fa era stato inoltre preposto un blocco del traffico areo da parte del Governo Italiano, che limitava sia gli arei civili (quelli che trasportano cittadini), sia i voli cargo, cioè quelli destinati all’esportazione di merci. Questo ha creato ulteriori ritardi poiché tutti i prodotti restavano fermi nei magazzini di partenza.

In generale quindi è probabile che tutti gli ordini di materiali che prevedono una fornitura dalla Cina subiranno (o hanno subito) consistenti ritardi, per questa combinazione dovuta all’epidemia di Coronavirus e al Capodanno Cinese. In particolare:

  • Ordini spediti prima del 20 gennaio: le consegne non dovrebbero subire ritardi.
  • Ordini spediti dal 20 gennaio al 28 gennaio: le spedizioni viaggiano con un ritardo di circa 10/15 giorni.
  • Ordini spediti dal 28 gennaio in poi: le spedizioni potrebbero essere bloccate nei magazzini e subire ritardi, a seconda della modalità di transito (diretto, se arriva direttamente dalla Cina, o indiretto, se la merce fa tappa in altri Paesi EU prima di approdare in Italia).

Tutta l’industria tecnologica si è comunque fermata bruscamente: è stato infatti annullato il Mobile World Congress di Barcellona previso per fine febbraio e anche l’arrivo dei nuovi prodotti Apple, che verranno presentati il 31 marzo, potrebbero presentare meno pezzi del previsto.

Per questo motivo quindi le forniture approvate all’inizio del 2020 hanno subito (e potrebbero subire ancora) svariati ritardi nelle consegne, anche verso i nostri clienti.

Rimane importate sottolineare però che il contagio relativo al Coronavirus non avviene tramite merci, per ulteriori informazioni rimandiamo alle raccomandazioni delle FNOMCeO.

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